mercoledì

ARTICOLO 4/LIBRO


DELTA IN RIVOLTA
Pirateria e guerriglia contro le multinazionali del petrolio in Nigeria

Suggerimenti da una “insurrezione asimmetrica”






di MARIA AURIEMMA

23 novembre 2009 - Sirignano (BAIANO)


Video: DELTA - OIL'S DIRTY BUSINESS
http://www.youtube.com/watch?v=ZGMB9Z4t5Xc



Riporto, di seguito, estratti dal libro DELTA IN RIVOLTA, edito nel 2009 dal Centro di documentazione Porfido (TO)


2. Il Delta del Niger: un’oasi al collasso

“L’area del Delta, in cui vivono tra i 20 e i 30 milioni di persone a seconda delle stime, è abitata da più di venti gruppi etnici, fra cui gli Ijaw (i più numerosi), gli Igbo, gli Itsekiri, gli Ogoni, gli Isoko e gli Uruhobo. Le attività basilari sono da sempre la pesca e l’agricoltura, che hanno mantenuto nei secoli un buon equilibrio con un ambiente estremamente delicato, costituito da un intreccio di corsi d’acqua a forte salinità, data la vicinanza del litorale, in cui si sviluppano immense foreste di mangrovia (sono concentrati qui 7000 dei complessivi 9000 chilometri di foresta di mangrovia di tutto il globo terrestre).


Il disastro ecologico

Il fragile ecosistema dell’estuario del fiume Niger è stato distrutto dall’attività estrattiva, un inquinamento criminale provocato da centinaia di perdite di greggio da pozzi e condutture completamente arrugginite e usurate (e che corrono in superficie perché persino l’interramento dei tubi degli oleodotti è considerato troppo dispendioso dalle compagnie petrolifere), dal gas, prodotto secondario dell’estrazione del petrolio, che viene lasciato bruciare a cielo aperto così da illuminare sinistramente la notte, mentre si liberano miasmi asfissianti.

Tutto ciò ha provocato lo sterminio delle specie ittiche della zona, la decimazione della fauna e l’inquinamento del suolo coltivabile, distruggendo il sistema produttivo alla base della sopravvivenza di questi popoli, i quali non si vedono restituito il maltolto né sotto forma di risarcimenti, né sotto forma di vantaggi indiretti: nei villaggi del Delta non c’è luce elettrica, nonostante da qui parta energia per tutto il pianeta, le vie di comunicazione con il resto del Paese sono quasi inesistenti, non ci sono sufficienti infrastrutture sociali come scuole e ospedali, la mancanza di acqua potabile causa una disastrosa diffusione della gastroenterite. Ironia della sorte, o meglio dell’Economia, proprio da uno dei serbatoi mondiali di greggio viene spesso a mancare la disponibilità di carburante (nel Delta come nel resto della Nigeria e in molti degli altri paesi produttori).

Le autorità nigeriane non hanno mai esercitato un controllo sulle modalità di estrazione del petrolio e sulle sue conseguenze ambientali; fino al 1988 non esisteva nemmeno un’agenzia governativa per la protezione dell’ambiente. A tutt’oggi, l’unica “pressione” esercitata dal governo sulle compagnie – peraltro inutilmente – è quella che riguarda il fenomeno del gas flaring. Centinaia di torce hanno bruciato per decenni, rilasciando gas serra e causando piogge acide. Le comunità lamentano la corrosione dei tetti delle abitazioni, danni ai raccolti e malattie respiratorie. Dopo aver disposto una prima volta che le società petrolifere eliminassero il flaring entro il 1984, il governo nigeriano continua a rimandare la scadenza. Alle compagnie infatti sembrano interessare ben poco tali disposizioni; di recente la Shell ha annunciato di non essere nuovamente riuscita a rispettare la scadenza che era stata fissata per la fine del 2008. Intanto, come recita addirittura un rapporto dell’ONU, «il livello di degrado e il ritmo al quale procede stanno spingendo il Delta verso il disastro ecologico».”


Nelle paludi della decomposizione sociale

“L’esproprio delle terre ha raggiunto proporzioni insostenibili: ogni pozzo viene recintato per un’area di circa due ettari [...]; altri espropri vengono effettuati per far passare gli oleodotti con il loro carico di inquinamento […].

Il cosiddetto sviluppo è così coinciso col “progresso” di miseria e sottosviluppo (oltre che di nocività), che ha degradato le popolazioni del Delta da produttori per l’estero di beni agricoli di consumo (olio di palma in primo luogo) a esportatori della loro stessa manodopera verso le megalopoli nigeriane, africane o occidentali […].

I tecnici, i direttori, gli amministratori, i lavoratori specializzati sono per lo più stranieri: sia nelle città che in prossimità dei pozzi si sono così sviluppate le colonie di questi privilegiati, dotate di elettricità, acqua potabile, reti di strade private, scuole, centri medici, clubs, protetti da guardie private e dalla polizia federale[…]”


3. Un conflitto senza tregua

Le prime azioni di protesta

“Negli anni Settanta il reticolato dell’industria petrolifera incominciava a invadere il labirintico Delta. Le tubazioni a cielo aperto degli oleodotti tagliarono i terreni, i megaimpianti di pompaggio lacerarono foreste e zone agricole, le fiamme del gas bruciato a cielo aperto resero l’aria irrespirabile e la notte spettrale […].

Le rivolte e le proteste che già in quegli anni cominciarono a farsi sentire, ad esempio presso le comunità Uzere, erano scatenate dall’esproprio della quasi totalità dei territori coltivabili, di cui la Shell si era impossessata per installare i pozzi di petrolio ed effettuare altre ricerche. […]

Inizialmente, per quel che ne sappiamo, sono state soprattutto le iniziative pacifiche a scandire i ritmi delle proteste: petizioni, marce, occupazioni e blocchi; è con l’andar del tempo e l’acuirsi della repressione che si affiancheranno metodi più diretti di attacco, danneggiamenti, sabotaggi, attentati, fino all’attuale situazione di vera e propria guerriglia diffusa.

Anche se le notizie sono scarse, si può dedurre che già negli anni Settanta furono segnati da una resistenza accanita, se il governo nigeriano arrivò a emanare, nel 1975, il cosiddetto «decreto antisabotaggio». Con esso venivano puniti, fino alla pena capitale, tutti gli atti volti a ostacolare l’estrazione e la distribuzione di prodotti petroliferi. Chi tocca il petrolio muore, era il messaggio […]

Nel luglio ’81 oltre diecimila abitanti di Rukpokwu, nall’area di Port Hancourt, bloccarono l’accesso a cinquanta pozzi di petrolio presso l’installazione Shell di Agbada. Contemporaneamente, più a nord, gli abitanti di tre villaggi Egbema occupavano la seconda più importante installazione petrolifera dell’AGIP. Gli Egbema protestavano contro la mancata assunzione di indigeni, la mancata elettrificazione e fornitura d’acqua nei villaggi e perché fosse garantita la scolarizzazione ai bambini. Il managment dell’AGIP rispose con l’eleganza che la contraddistingue: chiamando le guardie. […]

Gli abitanti di Iko, un’isoletta di pescatori in Adoniland, organizzarono nel 1987 una marcia pacifica di fronte agli impianti della Shell […]. I reparti speciali di polizia arrivarono a bordo di motoscafi della Shell, attaccarono il villaggio uccidendo due persone e distruggendo decine di abitazioni. […]

Nel 1990, a Umuechem, nella zona degli Igbo, una comunità vessata dalle continue confische di terre da parte della Shell organizzò una manifestazione di protesta. I reparti speciali fecero un massacro: ottanta persone furono uccise, centinaia di case distrutte, tutti gli animali ammazzati...[…]. Qualche anno dopo, nel corso di un processo, la Shell ammetterà di aver stipendiato, fornito supporto e acquistato armi per dotare la polizia nigeriana dell’attrezzatura necessaria alla difesa dei propri impianti; una pratica che continua imperterrita a tutt’oggi e per tutte le compagnie che operano nell’area.”


Ogoniland: resistenza e massacri

“Era il 1993 quando le ruspe arrivarono nella zona di Bomu, in Ogoniland, per espropriare altre terre e costruire l’ennesimo oleodotto. I contadini erano decisi a opporsi, resistendo pacificamente. Una contadina china a raccogliere ciò che restava del suo ultimo raccolto fu presa a fucilate dai soldati pagati dalla Willbros, società appaltatrice Shell. Gli Ogoni scesero a migliaia nei campi e nelle strade a difendere la loro terra e, a questo punto, la loro stessa vita. La repressione fu brutale, con rappresaglie nei villaggi, torture e violenze di ogni tipo. Duemila persone vennero uccise, trentamila restarono senza casa. Ormai si era in un punto di non ritorno, un tentativo di genocidio.

Il popolo Ogoni è una minoranza di 500 mila persone, in un paese di oltre 130 milioni, che vive nello stato di Rivers, a est della sua capitale Port Harcourt, dove nel 1958 fu scoperto il primo giacimento. Da allora, per tutti gli anni della “decolonizzazione”, ha visto la propria terra marcire sotto l’industria del petrolio, estratto dalla Shell in compartecipazione alla NNOC (National Nigerian Oil Company), dalla ELF e dall’AGIP. Gli oleodotti, costruiti in superficie in una zona densamente popolata, attraversano terreni un tempo coltivati, cosa che ha costretto molti a lasciare i propri villaggi. […]

Queste condizioni, peraltro comuni ai molti popoli del Delta, hanno innescato un movimento di resistenza politicamente maturo e potenzialmente pericoloso per gli interessi occidentali in Nigeria. Contro di esso, oltre alla repressione militare diretta – anche qui con elicotteri e armamenti antisommossa all’avanguardia sponsorizzati dalla Shell -, si ricorse a fomentare un conflitto interetnico. Il Movimento per la Sopravvivenza del Popolo Ogoni (MOSOP) assunse un ruolo guida in questa lotta […]

Tra i leader del MOSOP si distinse la figura di Ken Saro-Wiwa, noto scrittore, attivista e sostenitore della non violenza attiva. Il clima diventata incandescente: mobilitazioni di decine di migliaia di persone, una fortissima partecipazione popolare, nella quale sarà sempre centrale il ruolo delle donne, e anche una qualche eco internazionale, costringeranno la Shell, nel 1993, a lascire l’Ogoniland.[…]”


La rabbia dilaga, la lotta si allarga

“Dopo l’impiccagione di Saro-Wiwa [10 novembre 1995] non finirono le lotte degli Ogoni come degli altri gruppi, e non si fermò nemmeno la repressione: nel 1997, a due anni dall’esecuzione, il Consiglio mondiale delle Chiese (WCC) denunciava in un rapporto: «Qui c’è lo stato d’assedio. Intimidazioni, stupri, arresti, torture, uccisioni e saccheggi sono perpetrati dai soldati ogni giorno». […]

Nella seconda metà degli anni Novanta, così, proprio mentre in Ogoniland persisteva la militarizzazione del territorio e la Shell cercava periodicamente di rimettere piede nei terreni che era stata costretta ad abbandonare, iniziò a concretizzarsi quello che era stato l’incubo per governo e multinazionali. Il coraggio di un piccolo popolo, gli Ogoni, aveva aperto gli occhi a tanti che si trovavano nelle loro stesse condizioni; l’indignazione per il cinismo delle aziende occidentali e per la brutalità della reazione statale aveva fatto il resto. […]


Ijawland: dalla resistenza alla lotta armata

A differenza degli Ogoni, gli Ijaw rappresentano, con otto milioni di persone, l’etnia maggioritaria del Delta, e il quarto gruppo etnico dell’intera Nigeria (dopo gli Hausa-Fulani, gli Yoruba e gli Igbo); il territorio da loro abitato è molto vasto […] e tocca i punti nevralgici dell’industria del petrolio, tra cui le due città più importanti: Port Harcourt e Warri […].

Fino agli anni Cinquanta, quando venne scoperto il greggio, Warri è stato un posto tutto sommato pacifico […].

Gli scontri tra le tre etnie maggioritarie della zona, gli Ijaw, gli Urhobo e gli Itsekiri (un sottoclan degli Yoruba che gode dell’appoggio del governo centrale), sono iniziati negli anni Settanta per poi degenerare negli anni Novanta. […]

Proprio in questa fase, però, incomincia a delinearsi un fenomeno destinato a radicarsi: il coinvolgimento delle compagnie petrolifere occidentali. Gruppi di giovani di etnia Ijaw, decidono di passare all’azione saltando un interlocutore, il governo, e confrontandosi direttamente con la Shell, vista a ragione come il vero governo della regione.[…]


5. Una “insurrezione asimmetrica”

La comparsa del Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger (MEND) e degli altri gruppi armati Ijaw coincide con una fase in cui la lotta popolare ha ormai le caratteristiche di un movimento di guerriglia diffusa, in una escalation che, a tratti, balzerà anche agli onori delle cronache italiane e internazionali. […]

Ma i caratteri di questo “conflitto asimmetrico”, le sue forme organizzative come le sue pratiche d’attacco, assumono un’importanza che non si esaurisce tra gli acquitrini nigeriani, fornendo spunti di riflessione, indicazioni e suggerimenti utili per ogni altro focolaio di resistenza nel resto del mondo.


Il MEND

Apparsa a fine 2005 sulle ceneri di altri gruppi, tra cui il NDPVF [Niger Delta People’s Volunteer Force] decapitato dall’arresto del leader Asari, la sigla MEND mostra subito degli elementi di originalità rispetto alle preesistenti formazioni armate. Innanzitutto […] emerge subito come la “leadership” del MEND sia qualcosa di sfuggente, che agisce nell’ombra […] è una entità oscura, clandestina, underground. Il suo “interfaccia” con l’esterno non è altro che uno pseudonimo, Jomo Gbomo, con cui vengono firmati i comunicati e le interviste inviate tramite e-mail alla stampa. […].

E’ qualcosa di impalpabile, fluido, indefinibile e quindi inattaccabile. […]

Siamo di fronte, insomma, a qualcosa di profondamente diverso da un gruppo politico, inteso i ogni senso, anche il più orizzontale. Un’organizzazione non separata, una pratica combattente che opera senza cesure nel corpo sociale, non solo perché questo è solidale, ma perché ne è diretta espressione.[…]

Più articolato delle precedenti organizzazioni, dotato di una notevole capacità di azione e reazione, in possesso di un miglior equipaggiamento di armi e motoscafi e di una capacità comunicativa locale e internazionale, il MEND sta così facendo assaggiare alle multinazionali di gas e petrolio le conseguenze di una vera e propria guerra civile a bassa intensità che, negli ultimi tre anni, ha fatto ridurre mediamente di un quarto le esportazioni di greggio. […]

Il messaggio del MEND è semplice: «Non possono esserci pace, sicurezza e business as usual se non vi è giustizia, uguaglianza e un equo sviluppo nel Delta del Niger».

Ecco un’interessante analisi sull’efficienza operativa del MEND, elaborata dal direttore del sito internet antiterrorismo Global Guerrillas:

«Gli odierni attacchi sono più sofisticati di quelli precedenti, che erano sostanzialmente una evoluzione di fenomeni di tumulti, proteste o banditismo. Il nuovo genere di attacchi include:

- Manovre “a sciame” nelle paludi. I guerriglieri utilizzano i motoscafi nei canali del Delta del Niger per colpire i bersagli in rapida successione. Agili e molteplici unità hanno spiazzato il sistema di sicurezza del governo e della Shell nella difesa della rete di canali.

- Radicale incremento della potenza di fuoco e dell’addestramento. Tale nuova capacità ha permesso ai guerriglieri di sconfiggere in diversi combattimenti una combinazione di milizie private della Shell addestrate in Occidente e di unità di élite dell’esercito nigeriano.

- Efficace utilizzo del blocco del sistema. I bersagli sono scelti accuratamente per bloccare completamente la produzione e per ritardare o fermare le riparazioni: è un’operazione sistematica.[…]»


«We are fluid…»

L’appoggio popolare di cui godono i freedom fighters, oltre che rendere molto difficile per le autorità identificarli, fa si che le rappresaglie governative sovente si scatenino sulla popolazione civile, provocando un continuo incremento delle adesioni dei giovani alla lotta armata. […]

L’agio con cui si muovono i miliziani, tanto nelle metropoli di Warri e Port Harcourt che nei villaggi e tra le insenature, è indice del fatto che sono circondati da persone che non solo si identificano con la loro causa, ma che fanno di tutto per offrire loro protezione e rifugi sicuri dagli attacchi dell’esercito nigeriano. […]

Nonostante questa presenza asfissiante dell’esercito, che ad alterni periodi assume i caratteri di una vera e propria occupazione militare, i successi operativi del MEND sono continui e lampanti.

Tale superiorità militare, - secondo l’analisi di Ike Okonta, - risiede in quattro fattori chiave:

1. Il MEND ha saputo interpretare con successo la cinquantenaria richiesta Ijaw di giustizia sociale e ambientale nel Delta del Niger. Non esistono villaggi nel Delta in cui non ci siano simpatizzanti del MEND. Di conseguenza, il movimento opera in un terreno estremamente favorevole e collaborativi, che gli consente di realizzare attacchi fulminei e poi dileguarsi senza lasciar traccia.

2. Il MEND è una libera coalizione di militanti armati, guidati da una leadership collegiale. Questa leadership non costituisce in alcun modo un impedimento per le varie unità a prendere le proprie decisioni e a organizzare le azioni militari indipendentemente dalle altre.[…]

3. I combattenti del MEND si muovono in un territorio per loro familiare […] L’esercito nigeriano e la marina hanno un equipaggiamento superiore, ma sovente di perdono tra gli acquitrini mentre attaccano o danno la caccia ai miliziani, diventando impotenti o, peggio, vulnerabili ai contrattacchi.

4. Il MEND si è dimostrato un astuto manipolatore dei mass-media e ha posto attenzione al fatto che i propri argomenti contro il governo e le compagnie petrolifere fossero eloquentemente trattati sui giornali e televisioni, in Nigeria e nel resto del mondo. […]

«Il futuro della guerra – dichiara il giornale dell’Army War College – è nelle strade, nelle fognature, nei palazzi e nei quartieri di cui sono fatte le città dissestate di tutto il mondo».

«La rapida urbanizzazione dei Paesi in via di sviluppo, - scrive un importante teorico dell’aviazione, il capitano Troy Thomas, sul “Aerospace Power Journal”, - determina un ambiente di battaglia sempre più difficile da capire perché sempre meno pianificato». «Thomas mette a confronto i centri urbani moderni, “gerarchici”, le cui strutture centralizzate possono essere facilmente paralizzate dagli attacchi aerei (Belgardo) o da attacchi terroristici (Manhattan), con gli slums delle periferie del Terzo Mondo, in continua crescita, organizzati in “sottosistemi informali, decentralizzati, dove non esistono schemi, e i punti su cui far leva non sono facilmente individuabili”.Prendendo ad esempio “il mare di squallore umano” che circonda la città Karachi in Pakistan, Thomas illustra ‘incredibile sfida di “un combattimento asimmetrico” su territori urbani “non nodali, non gerarchici”, contro milizie “originate dai clan” e animate “dalla disperazione e dalla fame”. Cita le estese baraccopoli di Lagos, in Nigeria, e di Kinshasa, nel Congo, come altri potenziali campi di battaglia da incubo» (Mike Davis, Nella giungla delle città, in Cronache dall’impero, Manifestolibri, Roma, 2004).


Guerriglie “open source”

Il tipo di guerra di guerriglia adottata nei canali del Niger (insieme alle forme organizzative cui abbiamo accennato) testimonia una notevole intelligenza militare: non assalti frontali alla conquista delle fortezze del nemico, ma uno stillicidio di attacchi mirati, finalizzati a logorare l’avversario, seguiti dal rapido rientro nel dedalo di acquitrini e foreste di mangrovie, dove gli abitanti si muovono agilmente mentre i sodati fanno fatica a inoltrarsi.

Travalicando gli acquitrini del Niger, le forme di questo conflitto ci offrono l’opportunità di una digressione sulla guerriglia moderna in termini più generali. E’ interessante, al proposito, rileggere le pagine di T.E. Lawrence, noto ai più come Lawrence d’Arabia, il quale a inizio Novecento […] teorizzò e praticò forme di guerriglia che possono essere lette come antesignane dell’attuale concetto di «guerra asimmetrica».

«La nostra tattica era: pungere e fuggire; non premere, ma colpire. Non cercammo mai di mantenere o migliorare una posizione di vantaggio, ma scomparivamo ogni volta e colpivamo da qualche altra parte. Usavamo le forze più limitate, nel tempo più rapido e nei luoghi più lontani. Se le nostre azioni fossero continuate finché il nemico avesse cambiato il suo modo di combatterci, avremmo violato lo spirito della nostra regola fondamentale: non offrirgli mai un bersaglio» (T.E. Lawrence, I sette pilastri della saggezza, Bompiani, Milano, 2000).

Non è forse questa quella dinamicità e versatilità che per i moderni analisti contraddistingue le guerriglie “di tipo nuovo” o “open source”? E’ la capacità di evolversi più velocemente dell’avversario, l’informalità che consente di mutare forma ancor prima che il nemico sia in grado di comprenderla per contrattaccare, la fluidità che non fornisce appigli e rende inafferrabili.

[…] il MEND, oltre che un’efficiente organizzazione rivoluzionaria, si potrebbe definire il gruppo ambientalista più “meritevole” dell’anno. Infatti, il MEND ha fatto molto di più di chiunque altro per fermare le emissioni inquinanti. Il loro contributo in questo senso, insieme ai miliardi di dollari di profitto sottratti alle compagnie petrolifere più grandi del mondo, ne fa dei campioni della salvaguardia ambientale.




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